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Mattina. Arriviamo a Parigi con un volo notturno di San Ryanair. Santo subito, seppure dispensatore di voli nel cuore della notte: vedi il video del tragico risveglio (ore 3.00 di notte) e della marcia notturna verso l'autobus Terravision per Trapani Birgi (in partenza alle 3.40). Arrivati a Parigi, nonostante lo stordimento del sonno (video), Marilù manifesta il desiderio di non tornare più a casa (video), e soprattuto non riesce a togliersi dal viso una sorta di sorriso continuativo (video).
Sbarcati dalla metro, ci mettiamo alla ricerca dell'appartamento,in Rue de Clichy (video) che abbiamo scambiato col nostro tramite Scambiocasa.com, ma prima ci approvvigioniamo di un tipico cibo parigino (il polletto arrosto: video).
Il giorno prima, venerdì, le due ragazze parigine erano già arrivate a Palermo (video), e ci avevano anticipato che il loro appartamento era al quinto piano senza ascensore. Ma sbagliamo palazzo, quindi finiamo per fare, con le valigie, non cinque rampe di scale, ma dieci: cinque nel palazzo sbagliato e cinque in quello giusto. Abbiamo provato ad aprire, con le chiavi che avevamo, due appartamenti sbagliati: il primo nell'altro palazzo, il secondo nel palazzo giusto, ma nell'appartamento sbagliato. In quest'ultimo, tra l'altro, mentre armeggiavo con la toppa ha aperto l'inquilina, guardandomi sbigottita.
Pomeriggio. Individuato infine l'appartamento giusto (video 1 e 2), scendiamo al supermercato hard discount sotto casa, in cui assaporo il gelo dovuto all'aria condizionata unita ai frigoriferi degli innumerevoli formaggi.
Genialata parigina: i netturbini aprono dei rubinetti d'acqua a terra, accanto ai marciapiedi, e scopano via le cartacce e le famose foglie morte parigine sul rivolo d'acqua che si crea. La cosa mi entusiasma tanto che le dedico non un solo video, ma anche questo e quest'altro.
Sera. Molti padri con carrozzina. Le madri saranno più libere. Tutti, soprattutto le donne, emanano dignità e libertà. Fuori fresco, in metro ancora caldo. La paura dei borseggiatori rischia di rovinare quello che è forse il piacere principale di Parigi: passeggiare per le strade. Mura bianche e tetti grigi nei palazzi, antichi e anche più moderni. Montmartre. Oggi è la giornata delle scale. Forse perché i parigini sono andati in vacanza, la città è popolata dagli immigrati. Un po' come sta succedendo a Palermo, ma molto più chiaramente. Sulla scalinata di Montmartre (video) si sente un sassofono in lontananza, e una canzone di Michael Jackson venire dall'alto, dalla basilica. Un gruppo di americane, contentissime del fatto che in Francia, a differenza degl Stati Uniti, sia permesso bere per la strada, ha comprato una bottiglia di vino, se la beve e se la ride. E infatti un pakistano vende birra e bibite per le scale. Un turista con una birra in mano rutta così forte che Marilù trasalisce, lui si scusa. Saliti a Montmartre: che babele, le lingue. Ognuno parla come gli pare. Spagnolo, portoghese, italiano, francese, slavo. Nella basilica del Sacro Cuore. Espiazione per la sconfitta nella guerra franco-prussiana. Espiazione di cosa? Di non aver saputo uccidere abbastanza tedeschi? Della colpa di essere stati sopraffatti, usando violenza e astuzia, da una violenza e da una astuzia maggiori? Si continua qui ancora oggi un ciclo di preghiere per questa espiazione. Ma l'aver infine contribuito a semidistruggere la Germania nelle due guerre mondiali, da questo punto di vista, non avrebbe dovuto già costituire un'espiazione sufficiente?
Fuori dalla basilica. Quanta birra, quanta puzza d'urina. Del resto, quel che entra esce. Doverosa passeggiata per le stradine in cima alla collina di Montmartre (video, altro video, video di una stradina che una signora parigina, spontaneamente, ci ha consigliato come "ravissant"). Buona cena nei dintorni, al Vrai Paris. Piacevole, anche se piano stipati come sardine in questi piccoli tavolini. Non a caso i locali con questi tavoli sono chiamati "bouchons" ("tappi"). Tornando a piedi a casa, ci illudiamo di aver individuato il bar dove è stato girato Il fantastico mondo di Amélie (Le fabuleux destin d'Amélie Poulin), tanto che immortaliamo l'errore in un video. Scopriamo invece, senza fallo, per vera esperienza, che il nostro appartamentino è proprio a due passi da Montmartre.
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Mattina, in viaggio verso il Louvre. Vantaggi della globalizzazione: si può comprare in Francia un farmaco prodotto da una multinazionale francese, che in Italia costa il doppio. Un clochard con luoghi capelli bianchi, ingobbito, il capo completamente chino a terra, passa per la stazione della metro. Una signorina si spaventa vedendoselo di colpo accanto, e si controlla la borsa. Non facciamo così tutti? Eppure non sono queste persone che possiedono così poco quelle che ci derubano più spesso, o di più cose. Che dire dei griffatissimi scippatori delle nostre periferie? E delle aziende telefoniche e di telecomunicazioni? O vogliamo parlare delle banche?
Una nuova Cinquecento è l'unica Fiat vista finora. Una moto sfrecciando a tutto gas dentro la corte del Louvre ci insegna quanto siano da prendere sul serio qui i semafori dei pedoni.
Mattina al Louvre (video). La seconda lingua in alcune scritte non è l'inglese ma lo spagnolo. La piramide del Louvre. I francesi non sono schiacciati dal loro passato, come gli italiani, ma si proiettano ancora nel futuro. Buona parte dell'arte greco-romana qui e altrove è costituita da repliche, romane o successive. Dovremmo essere delusi perché non sono gli originali? Cosa importa? La cosa veramente interessante è il corpo della cometa, o la lunga scia luminosa che traccia nel cielo, attraverso l'impero romano, il medioevo, il rinascimento, l'età moderna e anche,seppur meno e soprattutto in modo diverso, l'età contemporanea? Perché molti dei ritratti più belli rappresentano personaggi senza nome? Forse la necessità di trattare l'oggetto della rappresentazione con rispetto è un ostacolo all'arte.
Pomeriggio. Arriviamo sugli Champs Elisées proprio mentre passa l'ultima tappa del Tour de France (video). Si scarica il mio cellulare: per oggi devo continuare il diario sul cellulare di Marilù. E si vede il grande limite dei touch screen: la digitazione di testo.
I più di 280 gradini dell'Arco di trionfo non sono così tremendi.
Documentando le varie fasi della temuta ascesa (video 1, 2, 3, 4), mi aspettavo di star immortalando un'impresa più epica. Arrivati in cima all'arco, cioè sulla terrazza, troviamo ulteriore conferma all'antica regola per cui val sempre la pena di tentare. La vista sulla città è bellissima (video 1, 2, 3 e 4).
Da questa terrazza, ancora per puro caso, assistiamo alla premiazione del tour de France, che Marilù immortala con la videocamera (video 1, 2, 3, 4 e 5).
Ha vinto Alberto Contador, uno spagnolo. La Spagna, nonostante la si dia per finita in quanto colpita più duramente di altre nazioni (tra cui noi) dalla crisi economica, continua a vincere nello sport. Europei e mondiali di calcio, e ora il tour de France. Penso che lo spirito di un popolo in ascesa traspaia anche in questo.
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Una pigra e sovrabbondante colazione è ciò che fa di una vacanza una vacanza.
Mattina. Cimitero di Montmartre. Nella strada che porta al cimitero gli operai lavano via la rabbia dalla strada con un getto d'acqua. La malavoglia e la cattiva organizzazione invece sembrano rendere gli operai siciliani incapaci persino di coprire i buchi che fanno per terra con asfalto parallelo al piano della strada. Non servirebbe a nulla, temo, un corso obbligatorio di geometria.
Dalla mappa delle tombe famose al cimitero:
Qui in molti sembrano infine condividere la mia passione estetica per i cimiteri. Si viene qui per due o tre personaggi famosi, ma credo che si finisca tutti per apprezzare quella malinconica bellezza, e proprio nelle tombe più abbandonate, più anonime, più oscure. E per questo il cimitero della tua cittadina provinciale, penso, vale quello di Montmartre. Finisci per ritrovarti a fissare lo sguardo su quella tomba di chissà quale avvocato o commerciante dell'Ottocento, bruna, coperta di muschio, come nel più banale romanzetto del XIX secolo. La linea degli eredi si è interrotta da un pezzo. Sei rimasto tu a chiederti chi sia, perché quella scritta, perché quell'ornamento singolare. Per il distratto omaggio che solo tu sei rimasto a pagare, quelle medaglie stampate nel marmo non contano nulla. Conta di più la scritta incisa in un angolo:
À mon pére.
Prima di uscire dal cimitero faccio ancora una volta esperienza dell'ineffabile bagno alla turca. Se netti i piedi nelle due apposite isolette, tirando lo sciacquone vi sedi passare questa piccola alluvione tra i piedi. Ogni volta che uso un bagno alla turca mi ricordo di Michelangelo, che ne tesseva le lodi. Come ho sentito dire di uno scrittore che non ricordo, Michelangelo capisce le cose due anni prima di me. Non ultimamente, però. Da quando ho capito questo, faccio più caso a quello che dice, e capisco le cose solo un anno dopo di lui.
Mattina e pomeriggio: Centre Pompidou, Museo di arte moderna.
Arte contemporanea. Origine di tutto: del design digitale di oggi e dei loghi. C'è già la globalizzazione. Ci sono gli oggetti colorati in superficie prodotti in massa dall'industria. C'è la domanda se la realtà esiste. Quest'arte viene dopo la fotografia. Non rappresenta, comunica con i suoi strumenti. Cubismo mi ricorda grafica desktop Windows Vista. Colori decisi ricordano grafica loghi. Violinista alla finestra. Artista non comunica. L'azzurro è dipinto sulla pelle di una delle donne, ma è dentro lo spettatore. H. Matisse, Luxe I (vd. foto a lato), un'epifania: se ci si resta a lungo davanti, si possono capire molte cose, anche senza Michelangelo. L'idea del corpo della donna serve a creare effetti. Cubisti e poi astrattisti infatti poi ne fanno a meno. Esprimono quel che succede nella nostra coscienza di fronte a situazioni, immagini, spazio, temperature, stati d'animo. Bracque, Natura morta al violino, sinestesia. Cubismo, tutti i punti di vista. Riflessione sui punti di vista, molto Novecento. Dante, visione di Dio, "si squaderna" (Dante, Paradiso 33.87). Kandinsky. Masse di colore: i colori unici imposti oggi dalla moda dei vestiti. Astrazione: il virtuale di oggi. Kandinsky e la musica. Kupka, Étude pour Amorpha, fugue à deux couleur et pour Amorpha, chromatique chaude, 1911-1912. Anche qui Dante, la faccia di Gesù nella visione di Dio. Per questa via si arriva al punto che l'arte visuale sfuma in altre forme di espressione, come la provocazione. Léger, il futurismo, lo sfondo dorato quasi fosforescente. Quanto vicino alla moda per giovani degli anni 2000, quella che presso giudichiamo coatta. Primi decenni ventesimo secolo, fondamentali per l'arte. Come hanno fatto a fare arte anche nel 1915? Correnti di brevissima durata, e tantissime in pochi decenni. Più che correnti mi paiono aspetti dell'arte del 20 secolo, che i singoli artisti attraversano. Più voglio fare scuole, più sono effimere. Vogliono definirsi, ma il Novecento ha il destino di essere frammentato. Interrompiamo la visita alle 6 e un quarto per sfinimento. Meglio meno gustato che molto di corsa. Un giorno ci ritorneremo per il resto. Non ho capito la seconda metà del Novecento come la prima. Arriva ai sessanta. Nella seconda parte si comunica per pensate, per invenzioni. Tutto diventa più cerebrale. Lo scandalo eccetera. Si montano oggetti. Vedi i ready-made di Duchamps, che inizia questo. O così mi è parso passando per i cinquanta e i sessanta velocemente. Buono però aver capito le basi, ovvero la prima metà del secolo. La prossima volta torniamo e cercherò di capire anche la seconda metà, o almeno i cinquanta e sessanta. Usciamo alle sette meno un quarto, molto più tardi di quando siano usciti dal Louvre.
Caffè da Starbucks. Sono forse l'unico italiano che aspetta di essere all'estero per potere finalmente bere un buon caramel macchiato, come in Italia non se ne trovano.
Al tramonto (che qui significa alle 9-10) paghiamo il nostro tributo - eh, bisogna! - alla Tour Eiffel (video).
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Una colazione meno pigra e indolente rende già la vacanza un po' meno vacanza. Svegliarsi alle 8, in vacanza, non è orario da cristiani. Oggi si va a Versailles. Come non visitare un monumento così famoso?Anche il T9 ne riconosce il nome. Rispetto a nove anni fa, nota Marilù, meno negozi che accettano la carta di credito. Segno della crisi? Almeno loro hanno crisi solo periodiche. In Italia, da quando io ho memoria, si parla sempre della "crisi". E sempre - bizzarro - come di una crisi contingente, legata a uno stretto giro d'anni. Eppure io ricordo questi discorsi, ininterrottamente, dalla fine della guerra fredda ad oggi. Pare che a pochi venga in mente che si tratta di una crisi storica, di luogo periodo. Alcuni la chiamano la deriva - io direi, più semplicemente, il declino dell'Italia. Né dire questo significa essere catastrofista, secondo l'accusa che mi muove Valerio, come se preconizzassi l'apocalisse per tutti noi. Non c'erano forse persone molto ricche, e persone molto felici, anche nella Spagna dell'Ottocento?
Mattina e pomeriggio a Versailles, il regno del lusso, del grande, dell'eccesso. In cosa è diversa dal gigantismo delle strutture americane che noi europei tanto disprezziamo? "Mancano del senso della misura, di buon gusto. Niente a che vedere con gli armonici monumenti europei". Ma Luigi XVI questo palazzo non l'ha fatto più grande solo perché non ha potuto. E che dire dei templi greci, delle cattedrali medievali? Le loro dimensioni erano dettate dal buon gusto o dai limiti costruttivi ed economici? Spazio privato e spazio pubblico qui si confondono, così come privato e pubblico nella monarchia assoluta. Il secondo impero tedesco è stato proclamato qui, in Francia, alla fine della guerra Franco-Prussiana. Il che la dice lunga sulla natura del nazionalismo, che si sostanzia dell'odio per un altro.
13.30. Usciamo, sfiniti, da Versailles. Deludente per me, perché avevo già visto questo palazzo e anche una serie di altri che in fondo ne riproducono il modello. E per Marilù, sopraffatta dalla spossatezza e infastidita dalla folla. Pranzo al ristorante messicano. Gestito da una donna di colore e da un francese con la faccia da francese. Molti francesi hanno infatti tratti fisiognomici tipici. C'è un'espressione in siciliano per questa "faccia da francese". È "facci di francisi". Mi piace sentire dire "francisi" in siciliano. Mi pare di sentirci l'eco di un odio atavico. L'unica rivoluzione mai fatta dal popolo siciliano è stata fatta per cacciare i francesi. E richiamare gli spagnoli a dominarci - il che dimostra che non si è trattato di una lotta se la libertà, contro la dominazione straniera. Ma di un semplice atto di odio verso li francisi.
Il ristorante messicano. Che poi è messicano tanto quanto le (copie di) statue che ornavano le ville nell'impero romano erano greche, i loro riti egiziani o siriaci, le corazze dei loro gladiatori tracie. Cioè di una grecità, orientalità, barbaricità artificiale, convenzionale, riprodotta. D'altra parte, i loro imperatori erano spagnoli, i loro poeti francesi, i loro santi africani. E chi abitava nella capitale si trovava a maledire il giorno che il suo vicino di casa era partito dall'Arabia, dall'Anatolia, dai Balcani, dall'Europa centrale, per venire a far sgocciolare i panni proprio sopra i suoi. La globalizzazione e il melting pot sono forse la più squisita forma di classicismo oggi.
Pomeriggio: tra i vantaggi dello scambio casa, c'è quello di potersi permettere il lusso di stare qualche giorno in più, e di poter tornare dopo pranzo a riposarsi a casa. Qui ho ulteriore prova delle delizie del melting pot culturale: mi sono chieso come si sarebbe accoppiata la Nutella con la focaccetta marocchina al sesamo che abbiamo comprato ieri sera. Che stupido dubbio: con cosa sta male la Nutella?
Sera al quartiere Malais. Dopo lunghissima, inutile e snervante consultazione di internet, della guida e di Pariscope, è stato il consiglio di un amico a sbloccare la situazione e a farci propendere per questo quartiere. Qui prendiamo due Velib, idea geniale per i trasporti di questa città, resa possibile dalle tecnologie del pass Navigo e della carta di credito.
Sono biciclette noleggiabili a tempo in modo del tutto automatico da postazioni sparse per la città. Si appoggia il pass magnetico Navigo, eventualmente si paga con carta di credito, e la bici si sblocca. La si può lasciare in qualunque altra postazione. I tragitti di meno di mezz'ora sono gratuiti. Ovviamente noi saltiamo di postazione in postazione lasciandole e riprendendole a intervalli di tempo minori di trenta minuti. Mi sento un po' come una rana spinta a saltare di sasso in sasso da un istinto di taccagneria. Dolce yiddish per me e pastis per Marilù al cafè Les Philosophes. I bagni del cafè, le surreali vetrine dei grandi magazzini BHV: dopo il museo del Centre Pompidou vedo arte contemporanea ovunque. Come quelle parole o quelle cose che, non appena le vengo a conoscere, sembrano ricorrere in continuazione, mentre ho l'impressione di non averle mai incrociate prima. Il che è impossibile.
Alle due e mezzo di notte ci ritroviamo sul bus notturno N15 a sfrecciare per le vie di Parigi, illuminate da brillantissimi lampioni. È ancora la Ville Lumiére. Tanto sfrecciamo, che sta venendo il mal di mare a entrambi.
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Mattina. Ovviamente non siamo in piedi prima elle dieci. Vacanza sì, perdere la salute no. L'inenzione è di andare a timbrare il cartellino in un'altra tappa obbligata: Nôtre Dame. Nei tunnel della metro e Parigi qualche coraggioso nottetempo ha lasciato una serie di graffiti. La linea uno della metro si automatizza. Adesivi sulle pareti della carrozza lo pubblicizzano, raccontando la storia della linea. In Italiano, però. Un gruppo di musicisti slavi in metro. Archi e coro di voci maschili. Che effetto, con l'acustica sotterranea della stazione metro Châtelet. Altra carrozza in metro. Pienissima, col nostro ingresso. Quando capiscono questo, quelli che erano seduti sui sedili a scomparsa si alzano tutti, silenziosamente, ad uno ad uno, per fare più posto. Che rituale solenne di quella che noi italiani chiamiamo, con invidia (ma nessuna intenzione di cambiare in nostro stile di vita), civiltà.
Finiamo alla Conciergerie, praticamente per caso. Suggestiva la sala dei gendarmi ("gents d'armes": voilà l'étymologie!), ma mi pare soprattutto un esempio di monumento ben valorizzato (video). Chi ha inventato l'arco a sesto acuto? A un costo punto sembra che gli europei non abbiamo potuto più farne a meno. Anche gli arabi? Che forse non sono così "altri" dai nostri nonni europei medievali come saremmo portati a credere. Dentro la Conciergerie, alcune celle della rivoluzione francese. Che viene spontaneo scrivere minuscolo quando ci si trova davanti ad una lettera originale di un alto funzionario delle istituzioni rivoluzionarie che chiede (ed otterrà) l'abolizione della
formalité
del diritto di difesa da parte degli accusati. Leggere le parole testuali manoscritte sulla lettera originale ti mette di fronte all'enormità della cosa. Un'enormità in due righe. Ricorda l'enormità che ti trovi davanti in un campo di sterminio e a Ellis Island. Un'altra lettera (di raccomandazione) ha firma Robespierre. Una firma decisa e leggermente ornata, senza il nome proprio, sottolineata nell'ultima parte con due brevi, forti tratti. Sarà autosuggestione, ma mi pare la firma di un uomo con un'alta opinione di sé. Sicuramente era convinto di star facendo qualcosa di grande per la Francia e l'umanità. In parte era anche vero. Ma mi lascia sgomento pensare come la rivoluzione, gli ideali più alti, marciscano nell'assolutismo, nel fondamentalismo, nel male.
Tarda mattinata. La Sainte Chapelle. Partiamo dalla cappella inferiore, che ha una bancarella di souvenir dentro. Spesso non ti dicono cosa di quel che vedi viene da qualche restauro ottocentesco e cosa è originale. Ma poi cosa vuol dire, esattamente, originale? Cappella superiore. Luce, colori. Intelligentemente, sedie per sedersi. Perché le visite, l'esperienza della bellezza, devono essere prive della sensazione di comodità che una buona sedia ti può dare? Capisco che ci sarebbe qualche italiano che si siederebbe per mezz'ora, ma perché bisogna appaiare così crudelmente piacere estetico e dolore ai piedi? Alcune vetrate sono restaurate, altre no. L'impalcatura, che vanno spostando man mano che procedono di vetrata in vetrata, sembra una mano di luce passata sulla cappella. Un'esperienza luce resa viva dal colore, di luce viva. Per chi entri da fuori, dopo la luce accecante dell'esterno, la luce più smorzata e mistica delle vetrate ti parla da destra e sinistra, mentre cammini al centro e guardi dritto davanti, verso le reliquie.
Camminando verso Nôtre Dame, noto una targa automobilistica del canton Ticino. C'è un tricolore italiano con la croce bianca svizzera sul campo rosso, a destra. Forse un giorno i leghisti arriveranno a un compromesso e si faranno un tricolore con un rosone bianco nel campo verde, a sinistra. E a noi del Sud non resterà che mettere un :-( sul campo bianco al centro.
Arriviamo alla cattedrale di Nôtre Dame quasi alle due di pomeriggio,mentre l'idea della fame comincia ad affacciarsi ai nostri stomaci. Ciononostante aspettiamo la partenza della visita guidata gratuita in italiano alle 14.30. Poscia più che il digiun poté la taccagneria. Visita alla cattedrale. Rosone con la storia della Bibbia dall'esterno al centro, dove c'è Gesù con la Madonna. Giovanna D'arco, patrona di Francia, santa nazionalista (guerriera) e anticlericale (perseguitata ingiustamente dall'Inquisizione). Insomma, una santa molto francese.
Pranzo (tardivo) al Sushi Wasabi di Rue de Saint-Germaine, ristorante giapponese (video).
Poi negozio di fumetti Album. Ce ne sono di meravigliosi. Ancora la strana sindrome per cui vedo arte contemporanea ovunque. Compriamo un classico, Astérix chez les Bretons, che più di tutti mi pare valga la pena di comprare in lingua originale per gustare i giochi interlinguistici con l'inglese.
Proviamo ad andare al cimitero di Père Lachaise, ma solo in metro ci accorgiamo che sono già le cinque e un quarto e sta per chiudere. Così si spiega anche la nostra strematezza, che ci dirotta a un altro percorso di metro, e dritti a casa.
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Mattina. A orari da cristiani (non prima delle 11) usciamo di casa. Il programma di oggi prevederebbe il cimitero di Père Lachaise, la mostra sulla storia dei videogames (museogames.com), il Museo d'Orsay, che oggi è aperto fino alle dieci meno un quarto. Ma i nostri programmi spesso vanno all'aria, con nostro sommo diletto. Vedremo.
In metro. Un clochard di colore dorme seduto, il capo piegato in modo impressionante sul torace. Sulla carrozza una signora sordomuta piange con suo marito. I una metropoli, pure così bella, la sofferenza scorre nell'inevitabile indifferenza generale come un fiume in mezzo a una terra desertica. Non carsico, ma in superficie, placido. Una scritta in metro:
Abas les nazistes sionistes fascistes!
L'accostamento mi pare azzardato. Mostra quanto l'odio offuschi il buon senso.
Cimitero di Père Lachaise. La visita si preannuncia interessante. Non vedo l'ora di osservare il feticismo mortuario dei turisti. E di prendervi parte.
Settore e numero sulla mappa di alcuni personaggi famosi:
Tomba di Rossini (in cui Rossini non c'è). Una coccarda bianca, rossa e verde. La diresti italiana. Invece viene da una città ungherese, in cui Michelangelo è stato anni fa: Szeged. Come a dire che alcuni italiani, come Rossini, sono più che solo italiani. E che ancora una volta Michelangelo aveva capito tutto anni prima.
Una lapide propone un accordo ragionevole:
Nous vous amons et prions pour vous. Priez pour nous.
Certo i defunti sarebbero scortesi se non ricambiassero. Neanche nell'aldilà si viene lasciati in pace dall'onnipresente do ut des. Una
M.me la comtesse...
ha curato che le forse eretta una tomba altissima, che tocca i rami degli alberi. Ora, per l'altezza, inclina minacciosamente a destra, e si ha paura per la povera contessa che rovini per le terre.
Tomba di Jim Morrison. E pensare che i fondamentalisti del rock venivano a fare sesso e a drogarsi qui sopra. Bisognerebbe riflettere (non con sufficienza) sul fatto che Jim Morrison rappresenta il personaggio più venerato di questo cimitero. Più di Chopin, di Proust, di Modigliani. Come lui, solo Wilde. Una cultura non sceglie mai a caso le sue icone.
Stiamo tutti col naso sulle mappe e ci perdiamo il meglio, cioè quello che ci circonda e che potremmo vedere solo perdendoci un po'. O almeno guardandoci intorno.
Infatti per caso ci imbattiamo nella tomba di Samuel Hahnemann, fondatore dell'omeopatia. Stabilita con una sottoscrizione internazionale.
Perché i cimiteri sono monumentali e belli da vedere? Tutti gli altri monumenti della città dei vivi vogliono eternare un'idea, qualcosa di collettivo o di sovrumano. Le migliaia di piccoli monumenti della città dei morti vogliono eternare una persona. Una sola persona. Chissà, forse il nostro futuro sarà del tutto privo di ideali e società, quindi gli unici monumenti resteranno le tombe. Ma forse ci sarà spazio anche per la religione e certo per un'altra grande fonte di celebrazioni e monumenti: il potere.
Qualcuno ha lasciato sulla tomba di Modigliani un mattoncino Lego. Quale dono migliore per esprimere l'inesauribile potenziale combinatorio della creatività umana?
Sulla tomba di Oscar Wilde un cartello chiede di non "sfigurare" il monumento, che è stato restaurato nel 1992. Ma è tuttora coperto di baci stampati col rossetto e scritte. D'altra parte, non è questo che rende viva questa tomba? Se la memoria è vita, come può essere morto, cioè solenne, museale, immutato, il monumento?
È l'una e mezza quando passiamo dalla città dei morti a quella dei vivi. Io non ne ne accorgo quasi, col naso sullo smartphone a scrivere questo diario. Nonostante le mura con cui chiudiamo i nostri cimiteri, vita e morte sono davvero così contigue? Una stessa giornata non ci porta forse l'una e l'altra?
Le due di pomeriggio. Al museo nelle arti e dei mestieri, per l'esposizione Museogames, sulla storia dei videogiochi. Bellissima.
Non sono un patito dei videogiochi (non ci gioco dai tempi delle scuole medie), però che emozione, giocare a Pong - l'inizio di tutto - su una console e con un joystick originali, più vecchi di me. O con la prima versione di REZ, un vero capolavoro, ispirato alle teorie sinestetiche e astrattiste di Kandinsky (basta vedere questo video da YouTube).
Ore 15.30. Pranzo nel Passage Brady, pieno di ristoranti indiani, dove, girando questo video, per poco non urtavo la suscettibilità del ragazzo di colore che si intravede con cellulare in mano all'uscita del vicoletto. Non avrà apprezzato di essere stato ripreso. Sono stato lesto abbastanza a girare altrove la videocamera.
Pomeriggio: Musée d'Orsay.
L'impressionismo, tappa intermedia tra il Louvre e l'arte contemporanea. I pittori impressionisti definiscono soprattutto gli elementi significativi, sbozzando solamente gli altri. I contemporanei andranno più lontano: dipingeranno solo gli elementi significativi, eliminando del tutto gli altri. Inizia già a trionfare il colore, abbandonando la mimesi naturalistica. Molte cose mi ricordano la tradizione contemporanea del fumetto, che abbiamo visto alla libreria specializzata Album. Le pennellate sono evidenti: mentre nasce la fotografia, la pittura si differenzia, cerca il suo proprium, che consiste la materia pittorica. Poi, nell'arte contemporanea, la sostanza dell'opera d'arte costituirà l'opera stessa: penso ai tagli sulla tela. Si arriverà nel Novecento alla 'pittura pura'.
Gli impressionisti prediligono i ritratti, gli esterni, i paesaggi con un'atmosfera particolare. Ad esempio nella nebbia; o l'aria di neve: G. Caillebotte,
Vue de toits, effet de neige (1878 - qui a destra).Va anche detto che a fine Ottocento la fotografia non poteva, tecnicamente, rendere i giochi di luce e colore degli esterni.
Si sforzano di dipingere l'aria. Monet dirà di voler dipingere acqua e aria. Oltre che il cognome, con me condivide questa passione per gli elementi mobili, e per la luce; ma soprattutto per l'acqua: decine di suoi dipinti sono su temi acquatici. Scelgono di dipingere en plein air, 'fuori': rifiutano l'accademia.Nel 1913 Renoir lavorava ancora; ma non era ormai 'indietro' rispetto alle avanguardie? Non avrà finito per ritrovarsi, da avanguardia lui stesso, a grande vecchio da superare? Del resto, la pittura oggi per i più è la pittura impressionista. In Photoshop, se non sbaglio, l'effetto 'pittura' (o effetto-tela, 'canvas') è proprio una 'impressionistificazione' dell'immagine da elaborare.
André Derain, Pont de Charing Cross (1906 - a sinistra) Come ho già notato al Centre Pompidou, il fauvismo introduce il gusto per il colore a larghe campate, il colore puro; che poi diventerà alla base della grafica moderna. Penso ad esempio al logo di Windows.
A Zola piaceva l'impressionismo; Renoir, come lui, rappresentava gente del popolo.
Pierre-Auguste Renoir, Bal au moulin de la Galette: si 'vede' il movimento. Nella pittura precedente, invece, spesso i personaggi sembravano fermi. Naturalmente questo non vale per Michelangelo (il pittore), ma ugualmente gli impressionisti in questo danno punti a quasi tutti.
C'è anche una corrente specificamente 'simbolista' di pittori: Charles Maurin, Composition allegorique (intorno al 1892 - a sinistra), mi ricorda certo fumetto contemporaneo.
Qual è la differenza di fondo tra gli impressionisti e l'arte del Novecento? Forse che i primi rappresentano le impressioni (visive, emozionali) che la realtà suscita nella nostra coscienza; ma in fondo è ancora la realtà, che rappresentano, tramite lo specchio della nostra visione, della nostra coscienza. I secondi, forse, rappresentano solo la nostra coscienza. Il Louvre: la realtà; il Musée d'Orsay: la coscienza che l'uomo ha della realtà; il Centre Pompidou: la coscienza dell'uomo.
Secondo l'audioguida, Fernand Léger (pittore cubista e futurista francese) avrebbe dichiarato:
Siamo partiti tutti da Cézanne... Chi ha capito Cézanne, ha capito il cubismo.
Henri Matisse, Luxe, Calme et Volupté (1904-1905 - a destra): ecco l'anello di congiunzione tra il Musée d'Orsay (impressionismo) e il Centre Pompidou (avanguardie, Novecento).
Questi impressionisti tendono a dipingersi tra parenti. A corto di committenti o molto legati alla famiglia?
Paul Gauguin: Le cheval blanc. Non capisco perché il disegno (ad esempio delle gambe dei cavalli) debba essere così semplice. Forse è una ricerca di purezza nelle popolazioni 'primitive' di Thaiti. Rinuncia al 'saper dipingere', come poi rinuncerà definitivamente a vivere in Europa. Cercava di portare in Europa la notizia dell'altro antropologico, che allora non era mai stato preso veramente in considerazione.
Paul Gauguin: La bella Angèle. Difficile capire Gauguin, anche per me.
Vincent Van Gogh, Autoritratto. Secondo l'audioguida, il pittore avrebbe detto:
Cerco una somiglianza più profonda di quella ottenuta dalla fotografia".
Bisogna guardare Van Gogh sempre un passo indietro. Basta quell'ultimo passo indietro perché i quadri di Van Gogh - soprattutto i colori - improvvisamente 'appaiano'. È come un software: da vicino, il source; da lontano, il compilato.
La tecnica impressionista (giustapposizione di pennellate) si applicherà poi alla grafica digitale: giustapposizione di pixel monocromi con diversi toni e diverse luminosità.
Tre dipinti sulla luce. C. O. Monet, Pavé de Chailly: la luce del cielo (ma in foto non si vede). E. Manet, Le déjeuner sur l'herbe. Solo dal vivo, non in foto, mi sta piacendo davvero. La figura femminile è pura luce. A. Sisley, La forge à Marly-le-Roy. Anche qui, il quadro sta tutto nella luce della finestra. E anche qui, in foto non si vede. Incredibile ma vero: bisogna mettersi lì, davanti al quadro.
Uscendo dal museo, alle nove di sera, il cielo azzurro in questo lungo tramonto sembra esso stesso un quadro impressionista. E il Grand Palais, il Lungosenna e questo cielo ci regalano il più bello scorcio di questo viaggio (qui a sinistra, ma che dire anche di questa e di quest'altra foto?) Mi è piaciuto tanto, che ci ho girato due video: questo e quest'altro. E dire che ce lo saremmo perso, se non avessimo deciso, nonostante la stanchezza, di fare un tratto a piedi.
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Mattina. La Villette, Cité des sciences et de l'industrie. Abbastanza deludente per noi, a parte alcune "scoperte" interessanti. Ma è un modo per invitare i piccoli a appassionarsi alle scienze e poi a iscriversi alle facoltà scientifiche, su cui si fonda lo sviluppo economico di una grande nazione. Di questi centri in Italia ne conosco pochi (uno a Torino, forse?). E i risultati si vedono: pochi iscritti alle facoltà tecnico-scientifiche, ricerca ferma (e ora in smantellamento), perdita di posizioni nella competizione con le altre nazioni industriali e in rapida industrializzazione.
Nel fast food Quick, all'uscita, non si accettano assegni. Ho visto molti avvisi simili in giro. Uno diceva esplicitamente che non si accettano più per l'alto numero di assegni inevasi in passato. Se non è segno della crisi questo...
Ore 16.00. Decidiamo di fare un altro ultimo giro al Louvre, dato che oggi è l'ultimo giorno del nostro Museum Pass. Stavolta scegliamo il percorso "Arte francese" dell'audioguida.
Stile impero. Dal consolato, al triumvirato, all'impero di Napoleone, questi francesi hanno pensato di star rifacendo la storia romana. E non ci vengano a dire che l'antichità greco-romana non conta. Questi facevano la rivoluzione (e i mobili) su un copione scritto da Suetonio!
Coraggio, espressionisti! Se ci si avvicina abbastanza, anche nei quadri medievali si scorgono le pennellate.
Jean-Siméon Chardin, La singe antiquaire (intorno al 1726 - a sinistra). Buona rappresentazione di noi antichisti che, in un contesto limitato (vedi l'ovale che racchiude la figura) osserviamo il dettaglio dimenticando l'importante, con una vestaglia da intellettuale, al calduccio di una stufetta.
Si sono fatte quasi le nove: ancora una volta distrutti, prendiamo un caffé da Starbucks (ah, il caramel macchiato!), e poi la via di casa.
Ma non prima di aver comprato qualche libro alla libreria Virgin del Carrosel du Louvre. Io prendo Micromégas di Voltaire (con me nella foto a destra).
In una lettera a Federico il grande, l'autore presenta un libriccino contenente il viaggio fantastico del barone di Gangan. Forse si tratta di una prima versione di Micromégas. Quella lettera di Voltaire descrive il diario di viaggio che io vorrei scrivere, se ne fossi capace. Un diario eccentrico perché fuori centro, più attento a un bagno alla turca che alla Tour Eiffel. Ecco le parole di Voltaire, come le leggo nella prefazione al volumetto:
Je prends la liberté d'adresser à Votre Altesse royale une petite relation, non pas de mon voyage, mais de celui de M. le baron de Gangan. C'est une fadaise [sciocchezza] philosophique qui ne doit être lue que comme on se délasse d'un travail sérieux avec les bouffonneries d'Arlequin. Le véritable ennemi de Machiavel [Federico, il destinatario] aura-t-il quelques moments pour voyager avec ce baron de Gangan? Il y verra au moins un petit article plein de vérité sur les choses de la terre.
Alla fine, un viaggio è anche una scusa per pensare.
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Mattina. Lettura di Astérix chez les Bretons, come preparazione spirituale prima del Parc Astérix.
Mezzogiorno. Passeggiata a zonzo per il nostro quartiere, intorno a Avenue de Clichy. Pioggerellina. Ma se nessun francese ha l'ombrello, perché dovrei averlo io?
Rue de Legendre. Un magazine, Le Point, titola con un servizio sui megalomani. Il primo della lista è Berlusconi. Sabato mattina di piena estase. Un clima strano. Aria da nostra domenica mattina. Quasi tutte le attività, tranne parrucchieri e altri luoghi di diletto, sono chiusi. Ma c'è gente per strada, non come nelle nostre deserte mattinate domenicali. Moltissimi giovani in giro. È perche siamo vicini a Pigalle? Ma è mattina! Sia come sia, all'estero noto sempre molti più giovani che in Italia. Molti palazzi, anche non ricchi, hanno un badge elettronico a prossimità per aprire il portone.
Per strada ci sono lavori. L'omeopatia è in quasi tutte le farmacie.
Sainte Marie des Batignolles, una parrocchia come un'altra. Moltissimi volantini informativi all'ingresso sulla vita della parrocchia, e una musica d'organo registrata in sottofondo. Da un lato, un quaderno su un piedistallo su cui ciascuno può scrivere un pensiero. Non una cosa da turisti, però. Come dei messaggi per Dio. Dominique, 25 luglio 2010:
Seigneur que ta bonté protège l'homme âge l'aime jusqu'à la fin de ma vie...
Poi dicono che Parigi non è romantica.
Molti danno del voi a Dio, come faceva mia nonna. Che forse, buonanima, intendeva così seguire la moda parigina (denigrata in questo, a onor del vero, dai suoi posteri immediati).
Anch'io provo a scrivere qualcosa, ma finisce l'inchiostro della penna. Un segno? Mi auguro che le richieste vengano accettate anche per via orale.
Il portone principale della chiesa è aperto solo a metà. Perché i portoni principali delle chiese e dei palazzi - anche non monumentali - sono sempre chiusi, o aperti solo in parte? Ti fanno sempre entrare da qualche accesso laterale. Il problema è l'usura del portale? O la sicurezza? Ma sono problemi insolubili? Se l'architetto ha previsto quell'ingresso per darti un'esperienza completa dello spazio, perché darci quella sensazione di essere ammessi dalla porta di servizio?
Passo per il parco Square des Batignolles, costeggiando dall'alto una mia passione: le molte linee parallele di binari su cui passano lenti i treni in prossimità di una stazione. Qui è la stazione di Pont Cardinet. Forse perché per chi è cresciuto in un palazzo sotto una stazione il suono dei treni sulle rotaie è familiare, evoca tranquillità. Potere delle memorie d'infanzia: davvero qualunque cosa può evocare qualunque sensazione! Chi l'avrebbe detto a Carducci nell'Ottocento che anche il rumore infernale e l'aria arrugginita delle stazioni avrebbe un giorno generato serenità? Ma forse ai tempi degli aeroporti il treno è ancora abbastanza lento da avere questo effetto. Una lettura del mio libro di francese, a scuola, iniziava con
J'aime le train.
e continuava spiegando:
Dans le train, le peux lire
e ancora: posso osservare il paesaggio, posso pensare. È l'unica lettura di quel libro che ricordo. J'aime le train.
Certi angoli di Avenue de Clichy sono pieni di localini arabi. Non mi stupisce che qua e là nei vicoli ci siano scritte anti-israeliane.
Pomeriggio e sera: Parc Astérix.
Dopo un pacifico pranzo a casa a base di saucissons e fromages francesi, raggiungiamo la Gare du Nord. Un caos! È grandissima, le indicazioni indicano tutto tranne che le biglietterie. Infatti le biglietterie "tradizionali" sono chiuse, nonostante la stazione sia affollatissima. Un modo energico, direi, per invitarti all'uso di quelle automatiche. Con cui litighiamo un po', prima di capire che accettano solo le carte bancomat (Carte Bleu), non le carte di credito. Nonostante i simboli Visa e Mastercard campeggino sulla macchina.
Saliamo infine su un treno moderno ma caldissimo, pieno peraltro di immigrati che vanno nelle banlieues del nord. Grazie alla "Francophonie" (definizione e sito ufficiale), la Francia è il più arabo e il più africano dei aesi europei. La cosa si tocca con mano quando si cammina per le strade o ci si inoltra nelle stazioni. Una manna per come me chi ama i paesi arabi. Tanto più che qui mediorientali ed africani sembrano muoversi come a casa, non come in un paese straniero. In Italia invece sembrano quasi nascondersi, camminando silenziosi per le strade senza incrociare i nostri sguardi. Eppure anche in Francia la segregazione sociale è evidente. I tumulti delle banlieux nel 2005 sono una ferita ormai dimenticata, nascosta, ignorata. Ma anche rimarginata?
È attraversandola con il treno suburbano (la RER) che si vede quant'è grande la periferia di Parigi. Eppure il centro, tutto sommato compatto, ti darebbe l'impressione di una normale città europea di grandi dimensioni, come Monaco di Baviera. Ivece le periferie sono davvero ipertrofiche. Del resto, dove potrebbero mettere altrimenti dodici milioni di persone?
Navetta verso il Parc Astérix. Campi coltivati e boschi. Come facevano i viandanti nel Medioevo a viaggiare tra i boschi, senza cartelli stradali? A quei tempi le indicazioni dovevano essere enormemente meno di oggi, come anche gli stimoli culturali, che sono poi i cartelli stradali della vita. Insieme agli incontri, ai mille maestri che si incontrano. Nel Medioevo, persino i libri da leggere (fisicamente disponibili a una singola persona) erano meno. Per giunta, che molti di quei libri non riguardavano la contemporaneità, ma il mondo classico. Attraversare la vita nel Medioevo doveva essere come camminare per questi boschi cercando Parigi, ma con cartelli stradali che indicassero "Gallia, Aquitania, Lutetia Parisiorum". Ci credo, che non sentivano la distanza temporale, che non si ritenevano appartenenti a un'era diversa da quella degli antichi romani. E in più, capisco perché la figura del maestro era tanto più importante.
Ore 16.50. Parc Astérix. Essendo Astérix un fumetto per adulti, mi sembra di essere tornato a quando riuscivo a godermi i parchi a tema (video 1, 2 e 3).
Non è assurdo il diritto d'autore com'è adesso? Per decenni gli eredi dei creatori di Astérix, senza far niente, si metteranno in tasca parte dei guadagni di chi lavora in questo parco.
Ore 19.10. Siamo entrati prima delle quattro e abbiamo visitato solo due attrazioni. Realizzo pienamente che l'attività principale in questi parchi giochi consiste nel fare la fila.
Ore 19.45. La situazione si fa drammatica. Mentre Marilù cerca souvenir, io mi accascio stremato, i piedi doloranti, sotto un mostro viola medievale accanto a un castello. Assetato, scruto la piantina alla ricerca di un posto in cui facciano un frappé.
Lasciato il parco, dopo una difficoltosa ritirata verso casa, vi consumiamo una cena cinese take-away (ma come fanno i cinesi a far pagare il cibo così poco ovunque?). Troppo stanco persino per portare il file con diario già scritto di oggi da cellulare al computer e metterlo online. Sarà forse l'attesa in piedi che mi sfinisce: meglio camminare - almeno la motivazione tacita la stanchezza.
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Marilù passa un'altra mattinata a rassettare la casa. Io personalmente ho passato più di un'ora a programmare online il viaggio notturno che ci tocca per raggiungere l'aeroporto per il viaggio di ritorno.
Ore 13.30. Verso Pigalle per pranzare a La Marmite, consigliatoci da Pauline, la ragazza con cui abbiamo fatto lo scambio casa. Marilù prova le sospirate (da lei) escargot. Per arrivarci prendiamo di nuovo i Velib, meraviglia della città, invenzione del sindaco Delanoë.
In Velib: Boulevard de Clichy, Boulevard de Rochechouart, Boulevard de Magenta, Canal Saint-Martin (Perrier con sciroppo), Place de la République (Marilù manifesta i primi segni di cedimento), Rue de Turenne. Qui, alla domanda "Dove andiamo ora?", Marilù risponde "A casa".
Non essendo questa la risposta che mi aspettavo, soprattutto dopo aver scoperto che il Centre Pompidou oggi è gratis (prima domenica del mese), ci dissociamo. Lei a casa, io di nuovo al museo di arte moderna. Stabiliamo un codice perché abbiamo un solo paio di chiavi e non ci sono i nomi sui campanelli nei palazzi. Spero di non restare fuori dal portone, più tardi...
19.00. Centre Pompidou. Che bella sensazione entrare alla biglietteria senza dover mostrare il biglietto o l'abbonamento. Mentre passo, il bigliettaio risponde al mio sguardo ansioso con un sorriso.
Deve essermi sfuggito un quadro importante, che non ricordo di aver visto ma è citato ovunque come uno snodo cruciale: L'origine du monde di Gustave Courbet.
André Breton:
Per un certo periodo di tempo avremmo trattato da pari un mondo che ci scandalizzava.
Mi pare che nei primi decenni dopo la seconda guerra mondiale non solo si abbandoni il "bello", il "decorativo", che ancora ricorreva prima delle due guerre. Ed emerge anche più spesso l'angoscia. Come se l'arte, con Matisse e gli altri nei primi anni del Novecento, si fosse spinta con gioia all'esplorazione di un nuovo mondo, vi avesse trovato le guerre, e poi non avesse più voglia di cercare il bello, ma solo di esprimersi con forza. Come se il mondo si fosse buttato sul lavoro per dimenticare, per esorcizzare - mentre l'arte faceva venire l'angoscia a galla. L'arte è come la coscienza profonda, come i sogni che di notte ci ricordano quel che di giorno rimuoviamo con l'attività.
Angoscia, dunque, negli anni '50 e 60 - tranne Picasso. Entrando nella sala delle sue ultime opere si ritrova la gioia del colore. È impressionante il contrasto tra la sala 25, con Francis Bacon e Arnulf Rainer, e la 28, con l'ultimo Picasso (qui sopra, F. Bacon, Three Figures in a Room, 1964). E poi io definirei "belli" i "concetti spaziali" di Fontana che sono qui.
Piotr Kowalski, Identité (n. 2). Come con la prospettiva nel rinascimento, l'arte incontra la matematica.
Gregorio Vardanega, Couleurs sonores n. 3. Proprio quello che ti aspetti dagli anni '60. Quella gente viveva nel futuro molto più di noi, che siamo (stati) gli uomini del 2000! Questa esposizione si ferma agli anni Sessanta (con qualche incursione nei Settanta). Forse è presto per farne una permanente che si spinga più avanti nel tempo.
François Morellet, opera fatta col neon (di cui non ricordo in titolo preciso... aveva "aleatorio" nel titolo). Anticipa il digitale. Si tratta letteralmente di creare con la luce. Si aprono tante prospettive, tanti strumenti espressivi agli artisti contemporanei, che al solo pensiero vengono le vertigini!
Ore 21.00. Costretto a lasciare il museo che chiude, trovo nella terrazza un altro di questi tramonti meravigliosi, con tanto di Montmartre, di tetti della città e pure di Tour Eiffel. Niente male, come ultima immagine da stamparsi sugli occhi prima della nottata fatale. La nottata che ci aspetta per portarci a casa su un tremendo volo delle 6.30 di mattina.
Mentre ero al Centre Pompidou ero compiaciuto di sentire la febbre dell'arte. Ma il fatto che questa continui anche ora in metro, e che è accompagnata da moccio e mal di gola, mi induce a cambiare diagnosi. Spero di non tornare malconcio in Italie.
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Una sveglia alle 3 di notte non è una sveglia, è un crimine contro l'umanità. C'è uno strano movimento per strada... La cui origine presto si comprende essere il Club Privé Mawal, di fronte alla nostra fermata del bus. Persino la panetteria del nostro amico marocchino è aperta (e piena).
Ore 4.40 di notte. Alla stazione di autobus di Villejuif-Louis Aragon, in una periferia che ha abbandonato ogni pariginità e richiama Los Angeles, aspettiamo che parta la prima corsa del 285, autobus giornaliero, per arrivare all'aeroporto di Paris Orly e salire sul volo delle 6.30 per Palermo. Ci ha portato qui, nel cuore della notte parigina, una nostra vecchia conoscenza, il bus notturno N15, con un viaggio di 45 minuti. Queste compagnie low-cost hanno un merito: ti fanno riscoprire la dimensione odissiaca del viaggio. Il volo aereo scomparirà, ingoiato (speriamo) da un sonno ristoratore, ma questa traversata della notte, questa attesa dell'alba, questo guardarsi intorno per scrutare le intenzioni di chi si aggira a quest'ora ("Di che reggimento siete / fratelli?") - questo somiglia a quel che dev'essere stato il viaggio in passato. E alla vita.
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