Abstract

, Editori e filologi. Per una filologia editoriale

I profondi cambiamenti che stanno interessando il mondo editoriale, dalla digitalizzazione dei testi, alla scomparsa del paratesto, alla progressiva perdita di centralità del ruolo dell'editore – solo per citare i più macroscopici – non solo aprono scenari difficilmente decifrabili, ma spingono a un ripensamento del recente passato, per capire, muovendo da una riflessione metodologica non meno che storica, che cosa è stata la mediazione editoriale nella seconda metà del Novecento, quali intrecci tra filologia ed editoria ha conosciuto e con quali conseguenze sulla produzione e fruizione dei testi. Come ha scritto Alberto Cadioli, a proposito della comunità dei lettori (Chartier) e del suo ruolo centrale nella comunicazione culturale, «predisporre un'edizione è un atto di mediazione, nel momento in cui l'editore prende qualcosa da qualcuno (l'autore) e lo porta a qualcun altro (il lettore), ma è un atto di interpretazione testuale nel momento in cui quell'edizione assume caratteri specifici e singolari: nessuna edizione è mai uguale a un'altra, anche quando trasmette il medesimo testo» (Le diverse pagine, Milano, Il Saggiatore, 2012, p. 39). Se l'atto di mediazione è un passaggio, tale movimento presuppone tuttavia una decisione precedente, una scelta. E un doppio sguardo: «guardare a un autore e a quanto ha scritto, e cercare i suoi possibili lettori; oppure guardare ai lettori da raggiungere (in questo caso appunto al plurale), e cercare lo scrittore e il testo che possono rispondere alle loro richieste» (ivi, p. 39). In fondo, non siamo lontani dall’allarmante bivio che, per dirla con Schleiermacher, si profila a chi traduce un testo scritto in un'altra lingua: bisogna portare l’autore al lettore o viceversa? Tale doppio sguardo, rivolto all'autore o al lettore (e spesso le esigenze non coincidono), non è solo degli editori, ma anche dei filologi, e implica scelte e decisioni importanti, talora cruciali, nella scelta del testo da pubblicare, del suo assetto generale, della sua struttura, della sua veste grafico-linguistica. E non si tratta di accidenti formali, affar di filologi insomma, ma di dati reali capaci di influenzare la ricezione e l'interpretazione. D'altro canto, la rapida trasformazione del mondo editoriale esige che ci si soffermi anche su quelle affinità tra opere che si stentano sempre più a riconoscere: affinità – di catalogo e di scelte autoriali, formali, e perfino tipografiche – che costituiscono lo specifico editoriale, se è vero, come scrive Roberto Calasso, che «ha ancora una qualche importanza, per certe opere e per certi lettori, il modo in cui i libri vengono presentati e il contesto – che può essere accennato anche solo da una cornice in cui appaiono» (L'impronta dell'editore, Milano, Adelphi, 2013, p. 67). Anche in questo caso, l'interazione tra editoria e filologia diventa fondamentale per capire in che direzione stiamo andando e quali libri leggerà la comunità dei lettori futuri. L'intento di questo volume è di raccogliere le esperienze e le riflessioni di alcuni grandi protagonisti del mondo dell'editoria e della filologia del secondo Novecento su questi temi: e in particolare sulle revisioni editoriali, sui normari e i manuali di stile, sul trattamento degli errori e delle uniformazioni, sugli apparati e sulle varianti, sui cambiamenti imposti dagli e-book e dai self publishing book, ma anche sui rapporti tra editori, direttori di collana, redattori e autori, per gettare sul passato uno sguardo che possa servire a capire meglio il presente e a orientare le pratiche di studio e la pubblicazione dei testi futuri. Fonte: Academia.edu

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