Ted Underwood Perché l'Informatica Umanistica non ha futuro Traduzione italiana

[Questa pagina contiene la mia traduzione italiana, non autorizzata né rivista dall'autore, del blog post di Ted Underwood Why DH has no future, pubblicato in inglese sul blog The Stone and the Shell all'URL https://tedunderwood.com/2012/04/14/why-dh-has-no-future/ il 14 aprile 2012. La traduzione, che sicuramente conterrà errori e fraintendimenti, è rivolta agli studenti del mio corso di informatica umanistica, quindi è ad uso interno e a fini didattici. -- Paolo Monella]

Perché l'Informatica Umanistica non ha futuro

L'Informatica Umanistica [Digital humanities] ha quasi 11 anni — calcolando la sua età a partire da quando John Unsworth ha coniato il termine nel 2001 —, il che forse spiega perché ha appena scoperto la mortalità, e contempla ansiosamente la propria.

Steve Ramsay ha provato a contrastare questa crisi suggerendo agli umanisti informatici che una comunità in buona salute "non si preoccupa affatto dell'idea che un giorno sarà soppiantata da qualcos'altro".

Saggio, dal punto di vista etico, ma più o meno tanto efficace quanto curare il singhiozzo col non pensare agli elefanti. Parole come "soppiantare" hanno un certo loro modo di fissarsi nella memoria. Alex Reid ha poi dato una svolta alla discussione collegando il futuro dell'Informatica Umanistica al futuro incerto degli stessi studi umanistici.

Intanto, continuo a sentire amici che ipotizzano che l'espressione "Informatica Umanistica" [digital humanities] presto diventerà priva di senso, perché "tutto sarà digitale", e l'aggettivo stesso verrà svuotato di significato.

Nella mia riflessione su queste domande escatologiche, io parto dall'osservazione di Matthew Kirschenbaum che l'Informatica Umanistica non è un progetto intellettuale unitario, ma una coalizione strategica. Tanto per iniziare, gli umanisti possono essere interessati alle tecnologie digitali

  1. come modo per trasformare la comunicazione accademica [as a way to transform scholarly communication],
  2. come oggetto di studio [as an object of study], o
  3. come strumento di analisi [as a means of analysis].

Questi sono progetti intellettuali distinti, per quanto attualmente si sovrappongano socialmente perché tutti richiedono abilità ed interessi collaterali che non sono ancora comuni tra gli umanisti.

Questa osservazione rende abbastanza chiaro come "l'Informatica Umanistica" [the digital humanities] morirà. Il progetto andrà a pezzi non appena sarà abbastanza grande da rendere possibile l'andare a pezzi.

A) Transforming scholarly communication

[Trasformare la comunicazione accademica]

Questa è una parte del progetto [culturale dell'Informatica Umanistica attuale] per cui sono d'accordo che "presto chiunque sarà un umanista informatico". La tendenza verso questo cambiamento è chiara, e non c'è ragione per cui esso non si possa estendere all'intero mondo accademico. Quando questo cambiamento sarà generalizzato, non sarà più visto come un aspetto dell'Informatica Umanistica.

B) Digital objects of study

[Oggetti digitali di studio]

Sono molto meno sicuro che tutti gli umanisti inizieranno a riflettere sulla dimensione computazionale delle nuove forme di espressione culturale (videogiochi, algoritmi di raccomandazione e così via). Qui mi azzarderei a prevedere che avrà luogo la classica lunga battaglia che, ad esempio, il modernismo letterario [literary mordernism] ha dovuto combattere per essere accettato nei programmi di studio. La dimensione computazionale della cultura diventerà sempre più importante, ma non può semplicemente rimpiazzare il resto della storia delle espressioni culturali, e non tutti gli umanisti vorranno acquisire le competenze di programmazione [algorithmic literacy] necessarie per svolgere una riflessione critica su tale dimensione computazionale. Questa potrebbe dunque rimanere una questione aperta, sia che finisca per determinare una divisione interna ad alcune discipline, sia che diventi una linea di demarcazione tra discipline diverse.

C) Digital means of analysis

[Strumenti digitali di analisi]

La parte del progetto [culturale dell'Informatica Umanistica] che mi sta più a cuore è anche quella dal futuro più incerto. Se fossi costretto a fare una previsione, direi che progetti come il text mining [l'estrazione automatica da parte del computer di informazioni sul contenuto di testi di grande estensioni] e la digital history [storia digitale] possano rimanere in qualche modo marginali nell'attività di ricerca dei dipartimenti di letteratura e storia. Confido che saremo in grado di costruire un paio di strumenti [software, programmi, siti] che saranno adottati da buona prte degli umanisti; per esempio, il topic modeling [tecnica computazionale per l'analisi automatica dei temi trattati in un testo] può diventare una tecnica standard per esplorare grandi collezioni di testi. Ma non sono altrettanto sicuro che lo sviluppo di nuove strategie analitiche di questo genere verrà mai visto come un aspetto centrale della ricerca umanistica. Inoltre, in questo campo la fedeltà dei ricercatori alla disciplina [all'Informatica Umanistica] può essere complicata dal fatto che discipline vicine (come l'informatica) offrono opportunità di finanziamento relativamente migliori.

Dunque l'Inofrmatica Umanistica non ha futuro, in prospettiva, perché le sue tre parti probabilmente avranno destini molto diversi. Una avrà un'applicazione generale; una probabilmente si arenerà in una guerra da trincea; ed una potrebbe bene essere assorbita dall'informatica, o diventare una missione commerciale permanente nel mondo dell'informatica [a permanent trade mission to informatics]. Vedi anche il contributo di Matthew Wilkens nella sezione dei commenti, qui sotto. Ma personalmente, non ho fretta di vedere niente di qutto questo. Le mie chances di trovare un mio posto nella ricerca umanistica saranno maggiori finché la coalizione dell'Informatica Umanistica rimarrà unita; quindi brindo alla sua lunga vita e felicità. Dopo tutto, abbiamo solo undici anni.

Postilla di Ted Underwood (15 aprile 2012)

Pare che la gente percepisca questo post come depressivo. Ma davvero non è questo quel che io intendevo. Cercavo di suggerire che i progetti intellettuali attualmente raggruppati sotto l'etichetta di "Informatica Umanistica" [DH / Digital Humanities] possono trasformare la ricerca accademica in molti modi — modi che non devono neanche essere limitati agli studi umanistici ["the humanities"]. Quindi predico la morte dell'Informatica Umanistica solo nel senso di Obi-Wan Kenobi! La colpa è della foto della pietra tombale sommersa, che ha fatto sembrare il post più cupo di quel che era — un po' troppo evocativo...

Commento di Matthew Wilkens

Ben detto, Ted. Anch'io la penso così. Per quanto riguarda la terza parte della disciplina, la mia ipotesi è che i metodi computazionali finiranno per essere qualcosa di simile alla teoria [della letteratura]: chiunque si affacci al mondo degli studi letterari dovrà saperne qualcosa e saperla usare (per lo più in una forma semplificata) laddove necessari, ma solo una manciata di persone, in prospettiva, lavoreranno per far progredire gli studi computazionali in quanto tali. A me pare un buon finale.

Risposta di Ted Underwood al commento di Matthew Wilkens

Sì, sono d'accordo. Il modo in cui ho espresso il concetto nel mio post è un po' più pessimistico, ma effettivamente la tua formulazione è più precisa. È un po' come la psicologia: chiunque, nella critica letteraria, deve capirne un po' (approccio freudiano o cognitivo), ma non tutti si specializzano in questa prospettiva di analisi.

Forsse è difficile per noi accettare questo come esito definitivo, perché gli umanisti sono ancora tentati dal modello della successione dialettica, per cui ogni approccio nuovo deve generalizzarsi e/o essere infine sostituito. Nelle scienze, mi pare, si regolano diversamente. Se la relazione tra la biologia e la chimica diventa un problema interessante, si delegano semplicemente alcune persone, chiamate "biochimici", ad occuparsi della questione, creando così un sotto-ambito di ricerca semi-permanente. Probabilmente è questo il futuro della critica computazionale: un sotto-ambito di ricerca semi-permanente che si occupi dell'interfaccia tra interpretazione umanistica e informatica. Ma è ancora difficile per gli umanisti pensare che quel tipo di ruolo di mediazione sia destinato a durare.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.