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Prefazione

La controversia 2, 7 di Seneca il Vecchio si presenta come un unicum nel panorama dell'intera antologia: essa infatti è l'unica declamazione completa che possediamo. Impropriamente chiamato Retore, poiché non sembra aver esercitato la professione di maestro di retorica, Seneca il Vecchio (Cordova, 58/55 a. C.-37/41 d. C.) decise di comporre un florilegio di declamazioni ascoltate nel corso degli anni nelle scholae e lo dedicò ai figli Seneca, Mela e Novato. I motivi che spinsero Seneca a comporre la sua opera, oltre al topos dell'esortazione impartita dai figli, desiderosi di conoscere attraverso i ricordi del padre quei retori che non avevano potuto ascoltare (cf. Sen., Contr. 1.1.2-5: iubetis enim quid de his declamatoribus sentiam qui in aetatem meam inciderunt indicare, et si qua memoriae meae nondum elapsa sunt ab illis dicta colligere.) sono la volontà di preservare la memoria dei migliori declamatori (cf. Sen., Contr. 1.11.1-3: Ipsis quoque multum praestaturus videor, quibus oblivio inminet nisi aliquid quo memoria eorum producatur posteris tradetur.) e soprattutto per emendare i guasti di una tradizione che attribuiva erroneamente o falsificava le sententiae dei retori (cf. Sen., Contr. 1.11.3-7: Fere enim aut nulli commentarii maximorum declamatorum extant aut, quod peius est, falsi. Itaque ne aut ignoti sint aut aliter quam debent noti, summa cum fide suum cuique reddam.). L'impianto dell'opera si presenta con la suddivisione tra i dieci libri di controversiae, ovvero discorso giudiziario che i declamatori pronunciavano in un processo fittizio, e un libro di suasoriae, ossia discorso deliberativo che i retori pronunciavano per consigliare o dissuadere un personaggio mitico o storico in procinto di compiere un'impresa o una scelta. I libri delle controversiae non sono pervenuti interi, tuttavia disponiamo di excerpta per quelli mancanti.

Ho accennato al fatto che la controversia 2, 7 rappresenta un elemento fondamentale all'interno della raccolta senecana: la declamazione appartiene a Porcio Latrone, amico dell'autore e da lui considerato uno dei migliori retori della propria epoca, ed è utile innanzitutto per ricostruire insieme alle testimonianze la figura, per noi perduta, del declamatore; in secondo luogo permette di analizzare sotto molteplici punti di vista il fenomeno declamatorio nel suo complesso. È indubbio infatti che le scholae siano state non solo luogo deputato all'insegnamento della retorica, ma anche alla trasmissione di cultura in senso ampio: mi sono proposta di evidenziare nel mio commento a questo testo i passi in cui si possono rintracciare legami con la novellistica e la letteratura elegiaca, a partire dall'argumentum, che narra come spunto per il caso giudiziario fittizio di una moglie, rimasta da sola dopo la partenza del marito e insidiata da un mercante straniero, che, alla sua morte, lascia un testamento grazie al quale la donna eredita tutti i beni, perché, ci dice il mercator nell'elogio allegato all'atto, è rimasta casta nonostante le sue profferte. Esso presenta infatti numerosi punti di contatto con la fabula milesia, la novella sorta in ambito ionico e diffusasi ben presto a Roma, dove appare in concomitanza ad altri generi letterari (Pepe 1967 offre una disamina della novella all'interno della declamazione, del romanzo, quindi in Apuleio e Petronio, dell'elegia, in Ovidio, della favola, in Fedro). Giova ricordare che gli argomenti, spesso intricati, non piacevano agli antichi per la loro astrusità (cf. Tac., Dial. de or. 35.4-5.2: [...] quales, per fidem, et quam incredibiliter compositae! sequitur autem, ut materiae abhorrenti a veritate declamatio quoque adhibeatur. sic fit ut tyrannicidarum praemia aut vitiatarum electiones aut pestilentiae remedia aut incesta matrum aut quidquid in schola cotidie agitur.), mentre il presente argomento, di cui ho provato a offrire una possibile chiave di lettura, si presenta semplice e lineare nel suo sviluppo: come si vedrà, esso sembra presentare aspetti di una novella quasi compiuta divenuto argumentum di una controversia. Per quanto riguarda gli elementi elegiaci presenti nel testo, rilevati nei luoghi opportuni, essi mostrano che non vi è isolamento tra centri di produzione culturale, ma anzi che vivono e si accrescono in simbiosi, richiamando esperienze diverse e facendole confluire in un unico patrimonio comune. Inoltre la controversia in esame offre chiari elementi di riflessione sociale e culturale a partire dalla concezione di adulterium/stuprum, che coinvolge la donna in quanto preda della sua natura debole, e riflette sulla libertà concessa, sul lusso, su quali siano le regole che il mos maiorum impone alla sfera pubblica e privata, su come si ponga la presenza di uno straniero all'interno di una città, del suo tessuto sociale. Ultima sfera che mi sono proposta di analizzare, mediante le autorevoli testimonianze del De Inventione di Cicerone e dell'Institutio oratoria di Quintiliano, è la controversia come discorso, che obbedisce alle leggi della retorica e si articola alla stregua di un'orazione giudiziaria e che però ne differisce nelle finalità, poiché è pur sempre un pezzo di bravura enunciato non in vista di un'accusa in tribunale: da qui discendono per esempio le imprecisioni riguardo all'ammontare dei beni ereditati. Particolarmente Quintiliano, che conosceva bene la differenza fra schola e forum, è qui spia dei diversi meccanismi che si innescano nelle declamazioni, meccanismi che sono sintomo secondo l'autore di una corruzione, o meglio di una sempre più profonda discrepanza fra l'insegnamento retorico e la sua applicazione nell'oratoria forense: tanti retori sono incapaci di pronunciare un'orazione in tribunale e tuttavia sono abilissimi declamatori (Porcio Latrone ne è l'esempio lampante). Accettando il diverso statuto del fenomeno rispetto all'orazione, possiamo trovare nuove chiavi di lettura della letteratura e della cultura latine.

Forse la parte più innovativa del presente lavoro è l'applicazione di strumenti e metodi computazionali: prendendo spunto da un mondo che si basa sempre più sulle tecnologie per svolgere ogni lavoro nella vita quotidiana, mi sono proposta di creare una versione digitale del mio commento. Ho adoperato come linguaggio di markup (formattazione digitale del testo) l'XML (eXstensible Markup Language), che serve a dichiarare la funzione degli elementi marcati. Ogni file codificato con questo linguaggio deve fare capo a una DTD (Document Type Definition), una particolare tipologia di documento che indica le 'regole grammaticali' che devono essere rispettate all'interno del documento; come qualsiasi linguaggio umano, anche i linguaggi formali hanno una loro grammatica e una loro sintassi: si potrà controllare se il proprio file è ben formato, cioè se rispetta tutte le regole, e se è valido, ovvero se la sua sintassi corrisponde alle regole della DTD. Qualsiasi elemento viene marcato con i tag, etichette che vengono applicate a una parola, a una frase, a una porzione di testo, che descrivono l'oggetto rendendo possibile una classificazione delle informazioni e che possono avere degli attributi, che specificano altre informazioni. I tag devono essere aperti e chiusi, altrimenti il programma di scrittura darà un messaggio di errore. I tag adoperati nella effettiva codifica della declamazione e delle note sono stati essenzialmente di due tipi: uno per marcare le porzioni di testo in base al tipo di contenuto (div con l'attributo @type) e l'altro per marcare le porzioni di testo commentate e le figure retoriche (seg). Il primo è servito per distinguere le divisioni del testo (thema, controversia, commento, introduzione, conclusione, bibliografia). I due usi del tag seg (arbitrary segment), utilizzati per marcare una porzione di testo a discrezione dell'utente, sono differenziati dall'attributo @type e dall'uso di altri attibuti specifici: per i seg che indicavano porzioni di testo commentate ho adoperato i due attributi @n per indicare il numero di righi corrispondente all'edizione Håkanson 1989 e @xml:id per attribuire un identificativo univoco alla parola o alla frase, che poi viene ripresa dall'attributo @target del tag note, all'interno del quale ho scritto le note; per il secondo invece ho usato l'attributo @ana (analysis), grazie al quale ho dato un nome alle figure retoriche che ho individuato nel testo, e @xml:id per attribuire un'identià univoca, in modo tale da riconnettere le figure retoriche con un IRI LOD, cioè con un un indirizzo Internet che rimandasse ad una scheda esterna univoca nel quadro dei LOD (Linked Open Data). Poiché l'XML è un linguaggio di markup dichiarativo, che cioè esprime un'interpretazione precisa, non solo la formattazione, delle porzioni di testo marcate, ho ritenuto opportuno distinguere con i tag: i titoli delle opere (title), le citazioni (quote) con l'attributo @type (a seconda che fossero citazioni antiche o moderne), le espunzioni (surplus) e le integrazioni (supplied) dell'edizione Håkanson 1989, mentre tutte le parole straniere (latine, greche, inglesi...) sono marcate con foreign. Ciò che permette la generazione dei vari file di ouput e visualizzazione a partire dal codice sorgente, è uno script, cioè un piccolo programma costruito ad hoc, che permette nel nostro caso una visualizzazione a schermo e una a stampa e soprattutto la visualizzazione di corsivi, grassetti marcati nel testo. Inoltre grazie allo script è stato possibile effettuare un'analisi statistica delle figure retoriche, disponibile nella pagina "Statistiche".